Capitolo secondo

Il maniero di Greystaff

 

Ci sono luoghi nel Faerun che si possono dire maledetti. In questi posti i naturali processi che governano la vita e la morte possono essere tremendamente modificati. Quando un poveretto tira l'ultimo respiro di vita mentre è in uno di questi luoghi, sia perchè è vecchio, sia perchè malato oppure ancora per qualsiasi altra causa, spesso capita che la sua anima venga trattenuta e imprigionata dalla natura magica e perversa del luogo stesso. Questo accade specialmente se la morte sopraggiunge quando il malcapitato ha ancora un forte desiderio di fare qualcosa o di provare qualcosa, magari anche solo poter star bene per pochi istanti. Ecco che allora l'anima dello sfortunato viene intrappolata, senziente ma vincolata ai limiti spaziali del luogo maledetto; il desiderio che si aveva in vita diventa un'ossessione ma rimane irrealizzabile in questo nuovo stato: un'ossessione eterna e senza tregua.

Capita però che a volte qualcun altro che è ancora in vita e che possiede buon cuore, realizzi il sogno del poveretto al posto suo. Quando ciò avviene, l'anima del defunto trova pace e lascia il luogo maledetto.

C'è uno di questi luoghi, nel Faerun, dove due anime furono intrappolate, in momenti diversi e per motivi diversi e furono liberate entrambe dalle stesse persone.

 

 

Quasi due secoli e mezzo fa, un principe elfo di nome Elevorn “Blacksword” fu impegnato in un durissimo combattimento contro un giovane drago verde nei pressi di un vecchio maniero nascosto e abbandonato lungo la strada di Rauthauvyr, qualche ora di marcia a sud di Essembra. Il principe venne attaccato dalla belva mentre stava viaggiando verso la foresta di Alberi Intrecciati; oltretutto sapeva di essere inseguito da un malvagio stregone di nome Zarth da Sessrenglade. Quest'ultimo, qualche giorno prima, aveva già ingaggiato in combattimento il principe e alcuni suoi compagni, uccidendo due elfi prima di essere costretto alla fuga da Elevorn e dal resto della sua scorta. Durante l'aspra lotta contro il drago verde, che veniva chiamato Boldanar, rimase in vita soltanto il principe, che era un forte guerriero. Riuscì a conficcare la sua spada, Naamarin, nel ventre del dragone, il quale spiccò poi il volo per cercare la fuga, ma cadde privo di vita nel mezzo di quello che era il vecchio cortile del maniero. Elevorn Blacksword era molto ferito e temeva che il malefico Zarth fosse nei paraggi, pronto ad approfittare della situazione a suo favore, per cui si affrettò ad entrare nella fitta foresta senza perdere tempo nell'andare a recuperare la spada, la quale era ancora nel ventre della bestia.

Quandò tornò per recuperare l'arma e i compagni caduti, pochi giorni dopo, era in compagnia di Renald da Essembra, un cantastorie umano. I due trovarono i corpi degli elfi ma quello di Boldanar non era più laddove era caduto. Cercarono la spada, ma di essa nessuna traccia. Il nobile elfo osservava il terreno, e di tanto in tanto si chinava, raccoglieva un po' di terriccio o di erba nella mano, lo esaminava e lo gettava rialzandosi. Renald chiese: “Non è strano, Principe? Chi mai si prende la briga di spostare un drago morto così in fretta?”. “Già. Inoltre non vi è la minima traccia di sangue del drago, nè quei frammenti di scaglie verdi che perse, laggiù. Come se quell'essere non fosse mai morto qui”. Rimase seduto a terra per vari minuti, pensieroso. Poi, come colto da una divina illuminazione, decise: “Venite Renald, entriamo nel maniero”. Davanti all'ingresso vi erano due statue di pietra raffiguranti due grossi mastini. Elevorn accarezzò la testa di quello alla sua destra, poi si avvicinò alla porta, la aprì ed entrarono.

“Chi viveva in questo maniero, Principe?” chiese Renald. L'altro rispose: “Un umano illustre. Il suo nome era Tomston Greystaff, proprietario terriero ed inventore, molto ricco. Morì di vecchiaia pochi anni fa, dopo una lunga e prolifica vita. Gli ultimi anni visse solo, dopo la morte della moglie. Non aveva figli. Lo conobbi e fui suo ospite qualche mese prima che lasciasse questo mondo”.

Si diressero verso i sotterranei del maniero. All'interno di una cantina segreta che Elevorn sembrava conoscere videro una grossa e strana cornice posizionata in maniera tale che sembrasse una porta. Era nell'esatto centro della stanza e Renald non ne capiva l'utilità, fin a quando venne sfiorato dall'idea che potesse trattarsi di un portale, come quelli che raccontava nelle sue storie alle locande di Essembra. L'oggetto sembrava di legno, molto elaborato e di colore verde scuro. Appena Elevorn lo vide disse: “E' un portale. Non è mai stato qui” poi, dopo pochi secondi, aggiunse: “è qui per me”. Renald non capiva cosa il principe volesse dire, ma non pronunciò alcuna parola. Quando si avvicinarono, notarono che non si trattava di legno ma di luce magica. Aveva qualcosa di sinistro, e Renald fu pervaso da un forte brivido. Elevorn estrasse il pugnale da un fodero che aveva in cintura e si mise ad incidere uno strano simbolo su una parete della stanza, poi disse a Renald: “Ora io entrerò. Tu non mi seguirai perchè solo io devo andare. Allontanati da questo posto, è maledetto”. Così Elevorn Blacksword accettò il suo destino ed entrò.

 

 

Mentre il gruppo camminava per le vie di Essembra, Lucy si guardava intorno con un sorrisino molto ironico dipinto sul suo volto: sapeva che le Valli, come aveva sentito dire ad Ordulin, erano poco più che terre di rozzi contadini, ma si aspettava la città principale di Battledale un po' più grande. Passi per Pontepiumanera, visto che in fondo Featherdale era solo una Valle di confine, ma anche Essembra era proprio minuscola in confronto alle metropoli sembiane a cui era abituata. “Qual è la locanda di cui ci hai parlato poc'anzi, Eilandur?”. Il mezz'elfo interruppe il suo fischiettare: “Si chiama Green Door, quasi in centro. E' un posto fresco e accogliente, lo gradirete!”. Eilandur si trovava abbastanza a suo agio ad Essembra, un paese letteralmente immerso nel cuore della foresta del Cormanthor, ed era veramente di buon umore. Kal commentò subito: “Vedi di non portarci dove ci sono altri elfi, due mi bastano e mi avanzano, cioè tu e tua sorella!”. Banedon chiese: “Ma siamo sicuri che quella locanda sia economica, vero?” e intanto guardava Dragan, sperando che il ragazzo ne sapesse qualcosa, essendo di Essembra. Ma Dragan aveva sempre dormito a casa sua o all'Abbazia della Spada, e non era tipo da locanda o taverna, quindi non la conosceva, pur avendone sentito parlare. Eilandur rispose allo gnomo: “La qualità e la comodità non sono mai regalate tra gli umani, Banedon, ma diciamo che i prezzi alla Green Door non sono così elevati”.

Così Eilandur, Kal, Banedon, Dragan, Lucy e Loreena arrivarono alla locanda ed entrarono tramite una bellissima porta di legno dipinta di verde. “Che fantasia” pensò tra sè Loreena. Con grande insoddisfazione di Kal, furono quattro belle e giovani mezz'elfe a ricevere i nuovi clienti, e la locanda era davvero frequentata da un buon numero di elfi e di mezz'elfi. Il posto era molto affascinante, immerso nella natura: era infatti al limitare di una zona boscosa, una goccia di foresta del Cormanthor rimasta nel centro di Essembra e conservata così. Le pareti erano piene di bellissimi dipinti raffiguranti scene della foresta. Come Eilandur precedentemente aveva accennato e come scopriranno meglio in seguito, la Green Door, oltre ad essere una locanda, era in realtà anche un santuario di Mielikki e rappresentava una meta di pellegrinaggio per i seguaci della Dea della foresta.

Anche se con disappunto di Kal, la locanda fu la base d'appoggio del gruppo finchè rimase in Battledale, ossia dal 23 di Eleint fino al 10 di Marpenoth, giorno in cui partirà per le Valli del nord. Durante l'ultimo tratto di viaggio della Heart's Wagon Eilandur aveva parlato a lungo delle Ghost's Hold, ossia una serie di rovine di residenze signorili, manieri e tenute lungo la strada di Rauthauvyr a sud di Essembra, più o meno nascoste dalla foresta del Cormanthor, ora abbandonate, molte delle quali nascondevano ancora ricchezze trascurate e con il tempo dimenticate. Su idea di Kal e di Banedon, il gruppo mise da parte sufficenti monete d'oro per acquistare un carro e decise così di esplorare alcune di queste residenze.

 

Partirono dunque il ventiquattresimo giorno di Eleint, nell'anno 1367, in tarda mattinata. Fin da subito la loro prima avventura fu insidiosa. Appena un'ora dopo la partenza da Essembra, la loro attenzione venne attirata dal luogo dove rimanevano i ruderi di una grossa fattoria. Qualcosa si era mosso all'interno, ed Eilandur temeva che tra i resti dei vecchi edifici si stesse nascondendo una qualche banda di fuorilegge o briganti. Specialmente così vicini ad Essembra, quei posti erano pattugliati dagli Uomini del Lord, come venivano definiti i soldati di Battledale, ma visto il gran numero di posti ove potersi nascondere offerti dalla presenza della fitta foresta e dalle molte rovine, il mezz'elfo non era tranquillo. Decisero di affrontare la questione per evitare di trovarsi poi un pericolo alle spalle. Si avvicinarono, e da lì a pochissimi istanti sarebbe incominciato il loro primo combattimento: non si trattava di tagliagole o banditi, ma di creature chiamate Vegepigmi, o “uomini muffa”, fungoidi di forma bipede e umanoide che probabilmente avevano trovato nei ruderi un habitat adatto alla loro specie. Pur non essendo bellicosi, sono tuttavia molto territoriali e in questo caso i Vegepigmi si organizzarono per difendersi appena si sentirono minacciati. Tra di loro vi erano anche alcune strane creature, in realtà piante, assomiglianti vagamente a cani. Lo scontro fu duro ma infine le creature si ritirarono ed il gruppo ebbe la meglio, anche se qualcuno venne ferito. Così gli avventurieri decisero di tornare ad Essembra per di recuperare le energie.

 

Poco prima che calasse la sera Banedon pensò di visitare la Casa di Gond, tempio cittadino del Dio delle Invenzioni. Come tutti gli gnomi era curioso e molto ingegnoso, per cui si sentiva in qualche modo vicino al culto di quella divinità. Situato nel cuore della Essembra Vecchia, quella zona del paese circondata dalle mura, la Casa di Gond aveva una facciata decisamente imponente: una larga scalinata conduceva ad un grosso portico supportato da poderose colonne, tutto in pietra. A fianco della scritta “ G O N D “, incisa sopra al portico, vi erano dei cerchi che rilucevano e ruotavano su loro stessi, costruiti con tasselli di pietra incastrati tra di loro. Questi cerchi avevano una funzione puramente decorativa. Banedon notò subito che era opera di un incantamento e non di un sistema meccanico. Lo gnomo entrò in un salone pieno di blocchi di pietra sopra ognuno dei quali era in mostra una singola invenzione dei cultisti locali di Gond, ad esempio una particolare pompa per innalzare l'acqua, oppure un eccentrico angolo cottura dotato di confort più o meno irrilevanti. Tra i blocchi di pietra vi erano numerosi recipienti dove i visitatori potevano inserire un'offerta “alla grande gloria di Gond”. Banedon inserì qualche moneta, poi ebbe il consenso, anche se un po' faticosamente, di parlare con il Grande Artigiano Lord Gulmarin Reldacap, il sacerdote che guidava il tempio, un signore sulla sessantina di anni con un enorme cappello e una serie di chiavi e di attrezzi di metallo appesi alla tunica. “Benvenuto, gnomo, posso fare qualcosa per te?” esordì l'uomo con un tono un po' frettoloso. “Salute a voi, Grande Artigiano, mi chiamo Banedon e sono fermo con il mio gruppo di avventurieri qui a Essembra. Rimarrò per un po' di tempo, probabilmente, durante il quale vorrei offrire la mia disponibilità manuale e creativa al tempio”. “Vedi gnomo, il miglior modo per aiutare il tempio è quello di fare una offerta... generosa” il sacerdote pronunciò l'ultima parola in modo lievemente ironico e dopo aver osservato palesemente i vestiti dello gnomo, che erano quelli di un avventuriero. “Sai, il mestiere dell'inventore è molto oneroso perchè abbiamo bisogno di un ingente quantitativo di materie prime per gli esperimenti” continuò. Banedon ci rimase un po' male: “Intendevo offrire un aiuto diverso. Io ho già fatto un'offerta, anche generosa considerando quali sono le mie ricchezze. Va bene vi ringrazio, sacerdote. Saluto” e fece per andarsene. Ma Lord Gulmarin Reldacap, dopo aver riflettuto qualche secondo, lo fermò dicendo: “Un momento, giovane amico, hai detto di essere un avventuriero, giusto? Ebbene, forse un aiuto me lo puoi dare, in effetti. Si tratta di qualcosa di poco conto, ma può andare bene: a sud di Essembra, molto tempo addietro, viveva un uomo di nome Greystaff. Sì, Tomston Greystaff. Era un inventore di medie abilità, tuttavia alcune delle sue opere ci potrebbero interessare e sono ancora da qualche parte nelle rovine del suo maniero. Potresti andare a prenderle per noi”. “Vi ringrazio, ne parlerò con i miei amici”.

Kal, Eilandur, Loreena, Dragan e Lucy furono d'accordo, pur di avere un obiettivo per le loro avventure. Banedon tornò alla Casa di Gond dove ricevette indicazioni precise per trovare il maniero di Greystaff. Così l'indomani, il 25, in mattinata ripartirono per le Ghost's Hold. Arrivarono circa a metà giornata e vista l'esperienza del giorno passato, il viaggio fu molto accorto e silenzioso. Oltretutto incrociarono alcuni Uomini del Lord i quali, guidati dal capitano Bryan Longeye, avevano avuto qualche problema con un gruppo di banditi. Alcuni anni dopo quei posti sarebbero stati ancora più pericolosi, ma narreremo di questo, un giorno.

Arrivati al maniero di Greystaff, gli avventurieri fecero un breve pasto al limitare della foresta e poi furono pronti ad entrare. A delimitare il perimetro dei giardini vi era un recinto di pietra alto circa un metro e mezzo, per lo più intatto, come lo era il cancello. Il tutto era coperto da rampicanti e il grazioso ingresso era largo a sufficenza perchè vi passasse un carro. Decisero così di entrare nel giardino e poterono ammirare il bellissimo ciottolato di marmo grigio-azzurrino, che procedeva, accompagnato a sinistra e a destra da una siepe, fino a dividersi in due: da un lato proseguiva verso il portone d'ingresso dell'edificio principale del maniero, dall'altro nel giardino, verso una statua raffigurante un vecchio uomo in dimensioni reali. Davanti al portone c'erano due mastini di pietra grossi quanto leoni. L'intero giardino offriva una visione molto suggestiva, in quanto all'eleganza e raffinatezza che un tempo aveva ora si aggiungeva un aria incolta e un po' selvaggia dovuta al fatto che nessuno ormai lo teneva curato: le siepi allungavano i loro rami e le loro foglie arrogantemente sul ciottolato, l'erba era alta e copriva qua e là delle piccole costruzioni di pietra sparse per il giardino, facendole appena intravedere. Mentre il carro procedeva sul ciottolato verso il portone d'ingresso, notarono che la statua del vecchio, interamente in pietra, lo raffigurava con un foglio di pergamena nella mano sinistra, mentre nella destra una mazza, ed era in procinto di colpire con quest'ultima un grosso gong di metallo sorretto da una colonna di pietra. Tutto era appoggiato su una grossa base quadrata, che si alzava di mezzo metro dal terreno, raggiungibile tramite gradini da ogni lato. Una decina di metri oltre questa struttura, c'era un piccolo laghetto circondato da molti alberi. Un altra cosa che valse l'attenzione degli avventurieri fu una zona del maniero alla loro destra: una galleria somigliante ad un porticato collegava le due sezioni del grosso edificio. Fermarono il carro nel punto in cui il ciottolato di pietra iniziava a dividersi delineando le due vie e decisero di scendere tutti per esporare il perimetro del maniero nell'intenzione di trovare entrate secondarie e di vedere in che condizioni si trovava. Quando giunserò in prossimità della galleria decisero di provare a passarvi sotto. Kal, che era in testa al gruppo, mentre stava molto attento a dove metteva i piedi si trovò davanti un'orribile creatura: sembrava un essere umano ma era orribilmente mutilato, aveva la pelle grigiastra e mostrava i denti neri, acuminati e allungati. Era un Ghoul, e da lì a una manciata di secondi dopo ne saltarono fuori molti altri, circa una quindicina. Con grande ferocia e istinto di cannibalismo si avventarono sulla carne fresca che già da qualche minuto avevano fiutato e speravano che arrivasse a loro portata per sorprenderla tra le macerie e divorarla. Kal combatteva dimenandosi furiosamente in centro alla mischia, presto gli furono vicini Dragan ed Eilandur, mentre Lucy lanciava precisi e letali dardi che andavano a conficcarsi nella carne marcia delle bestie. Alcuni furono paralizzati al contatto con quelle orribili creature. Riuscirono a portare lo scontro fuori dalla galleria e combattere quei mostri alla luce del sole più diretta fu molto più semplice e lo scontro fu vinto, con qualche ferito. Loreena, chierica di Mirkul, curò parte delle ferite dei personaggi grazie ai poteri che il Dio concedeva lei ogni mattina. Quando terminarono l'esplorazione, appurarono che le condizioni del maniero erano assai precarie: molte sezioni di muro erano crollate, altre erano in delicato equilibrio. Non trovarono altri ingressi agibili, per cui si avvicinarono a quello principale. Kal aveva il timore che le bestie di pietra, i mastini, fossero più di semplici statue, e la sua preoccupazione si rivelò giustificata, perchè una volta che Dragan afferrò la maniglia di una delle due ante del portone e tirò verso di sè per aprire, tutti sentirono un tremendo GOOONG provenire dalla statua del vecchio e contemporaneamente il mastino di destra si mosse per spiccare un balzo verso di lui. Kal era prontissimo a questa eventualità e riuscì a mollare un fendente impressionante alla bestia di pietra. Ciò non bastò comunque per abbatterla; Banedon sgattaiolò svelto riparandosi dietro l'altra statua, Dragan ed Eilandur si fecero avanti per affrontare il nemico. Ancora gli avventurieri, che poterono circondare il mastino, ebbero la meglio, anche se la tempra delle loro armi fu messa alla prova dalla dura “pelle” dell'essere. Finalmente poterono dunque entrare nel maniero; una rapida esplorazione alla luce di lanterne fece loro capire che quasi ogni sezione del primo piano era pericolante e inagibile. Videro tuttavia che la scala conducente ai sotterranei, molto vicina al portone d'ingresso, era stranamente piuttosto libera dalle macerie e transitabile.

 

Mentre scendevano le scale videro luce provenire dal fondo, per cui procedettero cautamente, ma una volta superato l'ultimo gradino giunsero in un corridoio e si accorsero che la luce era emanata da alcune lanterne appese al soffitto. Dragan suggerì con un pizzico di ironia: “Se era un inventore, può darsi che abbia ideato un sistema di illuminazione che non si esaurisce mai!”. Il corridoio era lungo circa una quindicina di metri e in fondo vi era una porta di legno. Un'altra era a metà del corridoio sul lato sinistro e altre due sul lato destro. Decisero innanzitutto di controllare dove portavano le porte sulla destra: si trattava di due stanze, la prima delle quali probabilmente un magazzino, perchè pieno di casse e armadi contenenti vestiti, coperte, tende, alcune barattoli di provviste e contenitori d'acqua, mentre la seconda era piena di polvere e di macerie. Poi decisero di entrare nella porta di sinistra, la quale aveva una targhetta recante un incisione: “Laboratorio”. Come il corridoio, anche questo grosso stanzone era illuminato da lanterne appese al soffitto; videro un grosso tavolone di ebano con sopra utensili da artigiano e vari armadi di legno. In un angolo del laboratorio vi era una scrivania con una sedia, e uno scaffale sopra il quale erano appoggiati tre cofanetti di legno. I primi ad entrare nella stanza furono Banedon e Kal, seguiti dagli altri tranne Eilandur che rimase in retroguardia nel corridoio. Banedon notò che un armadio alla sua destra era leggermente aperto e scorse al suo interno alcune ampolle contenenti liquidi di vario colore. Si avvicinò alla scrivania e allo scaffale osservando i tre cofanetti. “Quasi sicuramente lì dentro ci saranno quei documenti che vogliono al tempio di Gond” pensò “ma di certo non li porterò da quel sacerdote arrogante senza prima averli esaminati e senza aver preso qualche appunto; ho l'impressione che questo Greystaff fosse davvero in gamba e le sue creazioni veramente geniali, non come quelle opere di poco conto dei sacerdoti del tempio!”. Ma quando stava per allungare la mano per prendere un cofanetto posto sullo scaffale più basso, vide con la coda dell'occhio qualcosa che gli fece avere un sussulto: scorse una presenza seduta sulla sedia della scrivania. Come aveva fatto a non accorgersene prima! E anche gli altri suoi amici! Si bloccò all'istante e girò soltanto il capo per guardare meglio: i contorni dell'essere erano poco chiari, evanescenti, ma lo gnomo riconobbe ugualmente che si trattava di un umano, anziano e curvo. Lo stava guardando con due occhi inquieti. Se ne accorsero allora anche gli altri che erano più indietro. “Amico, non avere paura e prendi pure quel cofanetto. Ma portalo a me” disse una voce proveniente da dove era il fantasma, ma debole come se fosse lontana. Banedon allungò allora le due mani e prese il cofanetto, poi si girò verso il vecchio. Guardò i suoi compagni, che erano a qualche metro da lui, fermi immobili e pronti ad intervenire. Porse dunque il cofanetto all'uomo ma vide che quest'ultimo non si mosse per prenderlo. Così Banedon glielo appoggiò davanti, sulla scrivania. “Aprilo, per favore” disse la voce, che si era fatta un po' impaziente, come quella di un bimbo quando gli parli di un regalo. Banedon aprì il cofanetto e vide che era colmo di fogli di pergamene, posti uno sopra all'altro; erano tavole da disegno, schizzi, progetti e calcoli. Il fantasma continuava a parlare e non cercava più di mascherare la propria eccitazione: “Prendi quel foglio, guarda... ecco il progetto di un nuovo sistema di aerazione, lì c'è la mia firma.. e quello, quello è il progetto dell'impianto di illuminazione, lì sotto ci dovrebbero essere i calcoli... e sotto ancora cosa c'è... ah.. guardalo è il dispositivo per le balestre” e così continuò per parecchi minuti, esaminando anche il contenuto degli altri due cofanetti, che Loreena passò a Banedon, essendo lo gnomo troppo basso per prenderli. “Vedi amico, uno di questi progetti non è finito, e io vorrei tanto poterlo completare, DEVO completarlo!! Altrimenti come posso osare raggiungere il Sommo Artigiano Gond nell'aldilà? Con un lavoro svolto in suo onore e completato a metà? Ma come è possibile in questo stato? Non posso prendere un foglio, impugnare una penna, mi è concesso soltanto di pensare...” disse l'uomo e aggiunse dopo poco, quasi disperato: “e pensare senza di conseguenza poter scrivere è... orribile... avessi almeno potuto guardare i miei lavori ed esserne orgoglioso, in tutti questo tempo!!”. Loreena si avvicinò a Banedon e si chinò per sussurrargli in un orecchio: “Tutto mi è chiaro, ora: è maledetto a rimanere qua in eterno, o fino a che non avrà pace, ossia fino a quando non completerà i suoi scritti”. Banedon osservò ancora un po' il vecchio che continuava a guardare i fogli appoggiati sulla scrivania di legno; lo gnomo provò una grande compassione per il pover'uomo, che ora soltanto, dopo secoli, ebbe modo di rivedere le sue creazioni, emozionato come fossero i figli suoi, che mai potè avere. “Greystaff, lei mi detterà e io scriverò e completerò le sue opere” disse con tono deciso Banedon guardando il vecchio. Quest'ultimo alzò il capo e per la prima volta fissò negli occhi lo gnomo: se avesse potuto avrebbe pianto. “Via allora, iniziamo, non c'è un momento da perdere” esclamò eccitato, la voce ora sembrava più vicina, più presente.

Lavorarono per parecchie ore, fuori il sole ebbe tempo di tramontare e la luna di sorgere. Nel frattempo Kal, Eilandur, Dragan, Loreena e Lucy esplorarono il resto dei sotterranei. Rimaneva una porta da aprire, quella in fondo al corridoio. Conduceva ad una cantina dove vi erano ancora alcune bottiglie di vino molto vecchie e pregiate: leggendo le etichette una era del 1025, una del 1019 ed una del 975, secondo il Calendario delle Valli. Decisero di tenerle. Una volta che Banedon ebbe finito di scrivere, Greystaff disse: “Grazie amico, ora sono soddisfatto e in pace con me stesso. Questo grazie a te, che sei brillante e sarai un grande inventore, se vorrai abbracciare quella strada! Ora son degno di poter raggiungere il Grande Gond e lasciare questo posto maledetto. Sì, perchè questo maniero è maledetto, io l'ho sempre saputo. Ecco perchè non ho permesso che mia moglie morisse qua. Bada che però dopo la mia morte anche qualcun altro è stato intrappolato qui dentro, fai attenzione!” poi sorrise, fece un piccolo inchino con il capo e scomparve, sereno. Quando Banedon riferì ai compagni d'avventura ciò che Greystaff aveva detto, insieme decisero di esplorare meglio i sotterranei del maniero. Fu Loreena, chierica di un Dio dei morti, a insistere particolarmente su questo. Partirono dal magazzino e poi passarono alla stanza a fianco, quella piena di macerie. Nel magazzino non trovarono nulla di particolare a parte i topi, mentre nell'altra stanza, che in apparenza sembrava non contenesse proprio nulla (a parte pietre, polvere e detriti) Dragan vide qualcosa brillare in un angolino. Lo indicò agli altri e si avvicinarono con cautela, facendo attenzione a non scivolare mettendo i piedi su una pietra poco stabile. Da sotto le macerie estrassero una grande spada piena di polvere e priva del suo fodero. La analizzarono alla luce ripulendola; Eilandur disse “Riconosco la fattura, è elfica! Un momento fatemi leggere queste iscrizioni... ma certo! E' Naamarin, la cacciatrice di draghi! Conosco la sua leggenda, è stata forgiata centinaia di anni fa nella Corte Elfica del Cormanthor, e si dice che i draghi la devono temere perchè per loro la sua lama è letale. Appartiene a nobili elfici, chissà come è finita qui”. Dragan, a cui brillavano gli occhi, disse: “Ehi, voi, sapete combattere con una spada grande come quella? Va usata a due mani, è troppo grande per essere impugnata con una sola. Credo di essere l'unico in grado di usarla”. Eilandur, che la aveva in mano per analizzarla, sorrise e gliela porse: “E' giusto, del resto sei stato tu a trovarla. Ma è un'arma preziosa, rispettala e cerca di esserne degno”. Dragan annuì chinando lievemente il capo e la prese impugnandola forte, pervaso da un sentimento di riconoscenza: Naamarin da quel momento rimase sempre l'arma preferita del giovane guerriero.

Loreena commentò: “Una spada elfica sepolta tra le macerie nei sotterranei del maniero di un umano. Proseguiamo nell'esplorazione, occorre trovare un perchè”. “Lo so bene anche da solo” esclamò Kal “avanti, rimane solo la cantina quaggiù... e il laboratorio, ma sono sicuro che nel laboratorio non vi è nulla di rilevante”. Voleva il parere di Banedon e questo annuì, per cui procedettero verso la cantina del vino, dove lo gnomo trovò quasi subito una porta nascosta ben celata. “Lo immaginavo” disse lo gnomo “ immaginavo ci fosse una porta segreta. Ne ho visti i progetti prima con Greystaff! Se non sbaglio si dovrebbe aprire toccando queste pietre della parete, una dopo l'altra in senso circolare”. Mentre diceva così, toccò alcune pietre del muro della cantina, in corrispondenza di una zona di parete tra un tavolo e uno scaffale. Dopo pochi secondi la sezione di muro toccata da Banedon iniziò a vibrare dapprima e a muoversi in seguito, facendo cadere tanta polvere; lo gnomo si vide costretto ad indietreggiare di qualche passo mentre Dragan dovette tenere fermo lo scaffale di legno dei vini per paura che cadesse. Quando il polverone iniziò a diradarsi in modo che si potesse vedere attraverso, nella zona della parete toccata da Banedon c'era ora un varco, un passaggio per un altra stanzina scura, illuminata soltanto da una debolissima luce verdognola. Kal si propose per passare in testa al gruppo e precedette quindi Banedon all'ingresso nella stanza segreta. Questa era piccolina e completamente vuota, tranne uno scaffale alla sinistra dell'apertura. Sullo scaffale c'era un foglio di pergamena, ma l'attenzione di tutti venne attirata da una strana cornice di luce verde posta nel centro della stanza e assomigliante vagamente a una porta di legno. Era il primo portale che Banedon, Kal, Dragan, Lucy e Loreena videro nel corso della loro vita, e fu Eilandur a riconoscerlo come tale e a suggerirlo agli altri. Inoltre, sulla parete di destra, quella opposta allo scaffale, vi era inciso uno strano simbolo sulla roccia, in maniera leggera e frettolosa. Ancora una volta Eilandur lo riconobbe: era una runa elfica, che di solito si disegnava in zone particolarmente pericolose, per suggerire, a chi sa leggerla, di stare alla larga. Lucy esaminò la pergamena, notò che vi era uno scritto e lesse subito la firma: Renald da Essembra. “Sembra piuttosto vecchiotta” commentò “vediamo cosa c'è scritto” :

 

E' proprio mentre mi convinsi che il mio compito, qua, era completato,

e che era giunto il momento di rispettare il volere di Elevorn lasciandolo

al suo destino, sentii un tuono più possente degli altri.

Ebbi la stupida impressione che gli dei non gradissero la mia

insignificante presenza in questo luogo, e feci per andarmene quando

i miei occhi dovettero improvvisamente nascondersi, abbagliati da un lampo di luce.

Poi subito, senza lasciare nulla al tempo, sentii una voce chiamarmi dicendo: “Umano...”;

coraggiosamente aprii gli occhi e rimasi impressionato da colui che avevo davanti.

Un gigante alto forse quattro metri, interamente protetto da un enorme

armatura di metallo; in una mano aveva una spaventosa ascia da

battaglia di un'immensità fuori dalla portata di qualsiasi essere umano o elfo.

Il gigantesco elmo lasciava libero il volto. Fiero, serio ed impressionante.

Il suo metallo era grondante di sangue, forse quello dei suoi nemici.

 

Dragan interruppe Lucy urlando esaltato: “Ma quello è Tempus, il Signore della Guerra, Flagello di ogni suo nemico!”. Eilandur trattenne l'impeto del ragazzo appoggiandogli una mano sulla spalla e suggerendo: “Lasciala continuare, amico”. Così Lucy riprese a leggere dal punto dove si era fermata:

 

“Renald da Essembra, oltre questo portale è in corso una battaglia che per

l'assurdo volere di menti contorte e maliziose mai finirà, se la parte che

merita la vittoria non viene messa in condizione di concluderla. Questo è

inconcepibile perchè è un affronto a me, Signore della Guerra, che pretendo

ovunque combattimenti giusti e che esigo che i perdenti debbano rimanere

perdenti. Ricorda umano, Naamarin non è di nessuno ora, colui che metterà

fine a questo insulto, potrà meritarsela.

Questo è il volere di Tempus, il Signore della Guerra”

Un altro bagliore di luce e davanti a me ancora una volta quell'armadio e quelle bottiglie di vino.

Riflettei ancora qualche decina di minuti, era un illusione o verità? Comunque sia,

credo che io sia stato scelto per servire il Signore della Guerra, ma non andrò

a raccontare questa storia altrove. Essa rimarrà qua, e rimando a voi che la troverete

la decisione. Buona fortuna,

Renald da Essembra

 

Dragan scalpitava: “Allora? Andiamo? Ho Namaarin” disse tenendo forte in pugno la spada ”dobbiamo mettere fine a questa ingiustizia. Sto per entrare”. Banedon tempestivamente esclamò: “Aspetta Dragan non entrare! Ancora non possiamo. Abbiamo dei manoscritti importanti da portare al tempio di Gond. Devono essere messi al sicuro e non voglio rischiare di non portare a termine la missione che ho ricevuto”. Eilandur annuì, dicendo: “Quello che dice Banedon è giusto, amico. In fin dei conti per decine di anni tutto è rimasto immutato, non sarà questo giorno a fare la differenza”. Kal era ansioso di sapere cosa avrebbero trovato oltre il portale, come tutti del resto, ma il gruppo alla fine decise di ascoltare Banedon ed Eilandur.

Ad Essembra, Banedon si recò subito alla Casa di Gond per raccontare ciò che era successo a Tomston Greystaff e per consegnare i documenti che aveva recuperato. Durante il primo incontro con il Grande Artigiano Lord Gulmarin Reldacap, quest'ultimo aveva parlato di Greystaff come di un “inventore di medie abilità”, ma lo gnomo ora sapeva che non era assolutamente vero. Così illustrò i documenti facendo di tutto per rilevare i pregi e le genialità di quelle opere. Tuttavia il suo entusiasmo non smosse la presunzione del chierico e Banedon, dopo aver ricevuto un semplice grazie, se ne andò particolarmente rattristito.

Nel frattempo Dragan, che nel viaggio di ritorno aveva avuto modo di calmare il suo impeto, pensò di consegnare i documenti di Renald da Essembra al santuario di Swordspoint, una sorta di distaccamento cittadino dell'Abbazia della Spada. In fondo quel manoscritto era una preziosa testimonianza di un'apparizione del Signore della Guerra nel nostro mondo. Dragan parlò a lungo con i chierici di quello che era successo al maniero di Greystaff, e quando lì salutò per tornare dai compagni era ancora più motivato.

 

Gli avventurieri passarono la notte come solito alla Green Door, ed il giorno successivo tornarono al maniero di Greystaff. Dragan per primo passò sotto la cornice e si trovò dalla parte opposta, sempre dentro quella stanzina segreta accanto alla cantina dei vini. Non sembrava che fosse successò nulla e quindi si girò verso i compagni che... non c'erano! Una manciata di secondi ed apparve Kal accanto a lui, poi Banedon. Allora si spostò per fare spazio anche agli altri, Eilandur, Loreena e Lucy, che arrivarono nel giro di venti secondi. Si trovavano dunque nello stesso posto, ma come su una realtà parallela. Non c'era la runa elfica sulla parete; c'erano ancora, al loro posto, le bottiglie di vino come se loro non le avessero mai spostate; Greystaff non c'era nel suo laboratorio ma c'erano i cofanetti delle sue invenzioni. Decisero di salire le scale e videro che il primo piano del maniero era in uno stato di conservazione molto migliore: le sale erano transitabili, anche se coperte di polvere e palesemente in disuso. Il portone d'ingresso era aperto e avevano appena notato che la statua del mastino che li aveva attaccati era ferma al suo posto, quando improvvisamente sentirono un possente ruggito provenire dall'esterno, e una persona che gridava dal dolore. Corsero fuori e videro una scena incredibile: nel giardino, tra la statua del vecchio e la strada, un gigantesco rettile verde con le ali stava scagliandosi addosso ad un guerriero elfo, disarmato. Quest'ultimo arrancava e faticosamente cercava di evitare gli attacchi del drago. Si trovava in netto svantaggio, continuava a subire ferite una dopo l'altra perdendo tantissimo sangue, tanto da far morire chiunque. Ma lui non cadeva mai definitivamente: sempre si rialzava, pronto ad affrontare il nuovo attacco del drago. “Com'è possibile!” esclamò Lucy. Eilandur vide gli occhi di Elevorn “Blacksword”, e colse una grandissima afflizione e tormento. “Di lui.. di lui parlava Greystaff e di lui parlava Tempus. E' maledetto a questo eterno soccombere”. “In nome di Tempus! Aiutiamolo!” Urlò Dragan e si scagliò verso il combattimento. Lo seguì Kal, poi Eilandur e anche gli altri, ma si tennero a distanza. Dragan si avvicinò tanto al drago da poterlo colpire con la spada, ma il rettile sembrò non notarlo nemmeno. “Naamarin!” esclamò il giovane “fai il tuo lavoro!” e disegnò un fendente pauroso contro il drago facendo partire il colpo da dietro la schiena, ma la lama si limitò a tagliare l'aria e passò il corpo del drago come si trattasse di uno spettro. Nè la belva nè Elevorn sembravano aver notato la presenza del ragazzo, eppure l'elfo, che era tra gli artigli del drago, vide la spada ed urlò: “Naamarin!”. Anche Kal nel frattempo era partito contro il drago ma anche la sua ascia passò attraverso le scaglie dell'essere. Il principe elfo venne scagliato a terra violentemente, a pochi centimetri da Kal, e ci volle quasi un minuto perchè riprendesse conoscenza. Nel frattempo il drago aveva spiccato il volo e stava prendendo quota per poi calare in picchiata sull'avversario. “L'arma!” urlò Eilandur “Dragan, Naamarin serve a lui!”. Dragan udì e gettò la lama a terra, vicino ad Elevorn. Quest'ultimo era ancora a terra, stanco; si tolse la polvere dagli occhi e dalla bocca, lanciò un'occhiata al drago, raccolse Naamarin e la nascose sotto di sè. Boldanar il Verde precipitò dall'alto sull'elfo, ansioso di infliggergli l'ennesima ferita schiacciandolo al suolo, ma all'ultimo istante Elevorn guizzò di lato, alzando Naamarin verso il cielo reggendola con tutta la forza di cui disponeva. Il drago non riuscì ad arrestare la sua discesa, fece appena in tempo a girarsi ma la lama del principe gli si conficcò su un fianco fino all'elsa. Un urlo immondo, spettrale e innaturale si innalzò dalla gola della belva, mentre moriva. Definitivamente.

Drago e principe scomparvero all'improvviso, ma Dragan e Kal fecero in tempo a vedere che il volto di Elevorn era sereno. Quella realtà parallela e senza tempo, distorta e malvagia, che aveva costretto il nobile elfo privato della sua spada ad atroci sofferenze, era finita. Tutto era tornato come prima: il maniero era in stato precario, il mastino di destra era a terra, distrutto dai colpi. Naamarin era rimasta. Era ai piedi di Dragan, unica testimonianza tangibile di quella vicenda. “Due anime han trovato la pace” commentò Loreena, freddamente. Il gruppo si riposò nella foresta. Banedon fece un'ultima visita al vecchio con il gong, e sentì dentro di sè che quello era un santuario che Greystaff aveva eretto al Dio Gond. Pensò che la vera fede ed attaccamento ad un Dio, spesso poteva essere presente più nel cuore di un uomo solo e triste, che in quello inaridito del più accanito chierico di città.

Il giorno successivo, il gruppo ripartì per Essembra.